Il diritto al silenzio e le domande sulle qualità personali della persona imputata

Il diritto al silenzio e le domande sulle qualità personali della persona imputata

  • Roberto Soardi

Con la recente pronuncia n. 111/2023, la Corte Costituzionale si è espressa in merito a una delicata questione di legittimità sollevata dal Tribunale ordinario di Firenze.

Nello specifico, il predetto Tribunale aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 495 c.p. (1) in riferimento agli articoli 3 e 24 dalla Costituzione, “nella parte in cui si applica alle false dichiarazioni rese nell’ambito di un procedimento penale dalla persona sottoposta ad indagini o imputata in relazione ai propri precedenti penali e in generale in relazione alle circostanze indicate nell’art. 21 disp. att. c.p.p.”.

Inoltre, in via subordinata, lo stesso Tribunale aveva sollevato questione di legittimità costituzionale anche dell’art. 64 co. 3 c.p.p., in riferimento al solo art. 24 della Costituzione, “nella parte in cui non prevede che gli avvisi ivi previsti debbano essere formulati nei confronti della persona sottoposta alle indagini/imputata prima di qualunque tipo di audizione della stessa nell’ambito del procedimento penale”, nonché dello stesso art. 495 c.p. “nella parte in cui non prevede l’esclusione della punibilità per il reato ivi previsto in caso di false dichiarazioni [...] rese nell’ambito di un procedimento penale da chi avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di non rispondere”.

Il Tribunale rimettente, nel caso di specie, era stato chiamato a giudicare della responsabilità penale di un soggetto che aveva dichiarato alla Questura di Pisa, in sede di identificazione, di non aver riportato precedenti condanne di carattere penale in Italia, tacendo invece in merito all’esistenza di ben due precedenti sentenze di condanna divenute ormai definitive.
Fattispecie, quella appena descritta, che secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità rientrerebbe entro i confini applicativi della fattispecie criminosa di cui all’art. 495 c.p. Proprio da queste considerazioni sono sorti i dubbi di legittimità costituzionale dell’organo rimettente. Come precisato direttamente dalla Corte Costituzionale, dunque, le questioni sollevate dal Tribunale di Firenze ruotano attorno al diritto al silenzio, ritenuto in più occasioni dalla medesima Corte come un corollario implicito del diritto inviolabile di difesa sancito dall’art. 24 Cost.

Ancor più precisamente, il giudice a quo ha assunto che “il diritto al silenzio copra non solo le circostanze attinenti al fatto del quale la persona sia sospettata o accusata, ma anche quelle [...] che riguardano la sua persona, al di fuori delle generalità in senso stretto”.

Ebbene, la Corte Costituzionale con la pronuncia in commento ha anzitutto rilevato come l’assetto del diritto vivente ad oggi vigente non assicuri adeguata tutela al diritto al silenzio in favore della persona sottoposta alle indagini o imputata.

A giudizio della Corte, infatti, il diritto costituzionale al silenzio si estende anche alle domande di cui all’art. 21 norme att. cod. proc. pen., considerato che “una tutela effettiva di questo diritto non può prescindere dalla formulazione di un previo avvertimento alla persona sottoposta alle indagini o imputata della facoltà di non rispondere anche a tali domande”.

Tuttavia, la Corte medesima ha ritenuto che il rimedio individuato dal giudice rimettente nel primo ordine di questioni dallo stesso avanzate sia da considerarsi eccedente e non funzionale allo scopo.

Nella prospettiva del rimettente, secondo la Corte, la questione sollevata in via principale sarebbe connessa ad un “imperativo di coerenza del legislatore, rilevante sotto il profilo dell’art. 3 Cost, nel declinare la tutela del diritto di cui all’art. 24 Cost. nella concretezza dell’ordinamento: una volta che il legislatore, nell’esercizio della propria discrezionalità, abbia ritenuto in via generale che le esigenze di tutela di tale diritto escludano la punibilità delle dichiarazioni di chi, sospettato o imputato di un reato, abbia detto il falso alle autorità nel tentativo di difendersi, sarebbe costituzionalmente insostenibile la differenza di trattamento fra situazioni analoghe, quali le dichiarazioni relative al fatto di reato, da un lato, e quelle relative alle circostanze personali del suo possibile autore, dall'altro”.

Ebbene, la Corte Costituzionale ha ritenuto che le esigenze di coerenza interna al sistema, prese in considerazione dal giudice rimettente, non possano spingersi fino a costituire un ostacolo per il legislatore rispetto all’adozione di soluzioni differenziate relativamente a situazioni egualmente riconducibili all’area del diritto al silenzio, ma fra loro non del tutto omogenee e sovrapponibili.

Invero, prosegue la Corte, l'ordinamento vigente disciplina già situazioni in cui la persona sottoposta a indagini o imputata - che non si sia avvalsa del diritto al silenzio di cui è costituzionalmente titolare - può essere punita ove renda dichiarazioni false aventi ad oggetto la responsabilità di altri, ovvero dichiari che sia stato commesso un reato in realtà inesistente.

Come precisato dalla Corte, non sussiste piena sovrapponibilità tra le false dichiarazioni aventi ad oggetto il fatto di reato (che il legislatore ritiene in via generale non penalmente rilevanti) e quelle concernenti le circostanze personali del reo.

Ebbene, considerato che, ad ogni modo, il diritto al silenzio si estende fino a coprire entrambe le dichiarazioni, la Corte ha considerato non irragionevole il fatto che il legislatore – in caso di rinuncia consapevole da parte dell’interessato all’esercizio di tale diritto – possa vietare allo stesso di rendere false dichiarazioni sulle circostanze relative alla propria persona prevedendo una sanzione penale in caso di inosservanza di tale divieto.

La Corte ha quindi concluso per l’infondatezza delle questioni prospettate in via principale, affermando che “l’auspicata dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 495 c.p., nella parte in cui comprende anche le false dichiarazioni rese da chi sia stato previamente avvertito della facoltà di non rispondere alle domande di cui all’art. 21 norme att. cod. proc. pen., conseguirebbe un risultato eccedente lo scopo di assicurare la conformità a Costituzione del vigente assetto normativo e giurisprudenziale”.

Di converso, sono state ritenute fondate le questioni formulate in via subordinata.

Per quanto concerne la prima questione, la Corte ha evidenziato come la giurisprudenza di legittimità, in riferimento agli avvertimenti disciplinati dall’art. 64 co. 3 c.p., abbia corroborato il principio per cui questi ultimi non debbano necessariamente essere rivolti alla persona sottoposta alle indagini o imputata prima che alla stessa siano state rivolte le domande di cui all’art. 21 citato.

Pertanto, l’assetto normativo vigente in materia, a giudizio della Corte, è stato quindi ritenuto non conforme rispetto alle esigenze di tutela del diritto al silenzio costituzionalmente garantito, con conseguente pronuncia di illegittimità costituzionale del predetto art. 64 co. 3 nella parte in cui non prevede che gli avvertimenti ivi indicati siano rivolti alla persona sottoposta alle indagini o all’imputato prima che vengano loro richieste le informazioni di cui all’art. 21 norme att. cod. proc. pen.

Allo stesso modo, è stata ritenuta fondata anche la seconda delle questioni sollevate in subordine.
Difatti, la punibilità delle false dichiarazioni aventi ad oggettola qualità della propria o dell’altrui persona, di cui all’art. 495 c.p., è stata ritenuta dalla Corte come non in contrasto con l’art. 24 Cost. esclusivamente nel caso in cui la persona indagata o imputata fosse stata preventivamente raggiunta dagli avvertimenti di cui all’art. 64 co. 3 c.p.p.

Pertanto, ha precisato la Corte, “anche l'art. 495, primo comma, cod. pen. deve, pertanto, essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non esclude la punibilità della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato che, richiesti di fornire le informazioni indicate nell'art. 21 norme att. cod. proc. pen. senza che siano stati loro previamente formulati gli avvertimenti di cui all'art. 64, comma 3, cod. proc. pen., abbiano reso false dichiarazioni.

 

 

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(1) Rubricato “Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri

 

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